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Marchi alimentari, si "decolonizza" (Rosy Merola)

di Rosy Merola

Da tempo il Belpaese è terra di conquista da parte delle multinazionali, soprattutto nel settore agroalimentare. Questo fenomeno ha avuto il suo boom nel corso degli anni ’90.
Infatti, a seguito delle “privatizzazioni” attuatesi in quel periodo congiuntamente agli effetti della globalizzazione, molti dei più importanti brand del panorama italiano furono acquisiti dalle grandi multinazionali straniere quali Unilever, Nesltlé, Danone. Il nostro apparato industriale si fece cogliere impreparato dal nuovo scenario globale che in quegli anni si stava delineando. Non avendo, tra le altre cose, i capitali finanziari necessari, importanti marchi del made in Italy non riuscirono ad evitare che multinazionali estere penetrassero nel mercato, attraverso l’acquisizioni di partecipazioni o dell’intero pacchetto azionario.
Sostanzialmente, potendo contare su un grande potere finanziario, le multinazionali sono in grado di controllare le innovazioni tecniche e le leve del marketing. Questo ha attribuito loro un ruolo egemone, che gli ha consentito di agire nei mercati globalizzati, indipendentemente da stabili relazioni di rete e senza legami territoriali specifici, al fine di individuare opportunità di acquisto dei fattori e di vendita dei prodotti di volta in volta più convenienti. In questi ultimi anni si sta, però, assistendo ad un’inversione di trend.
Di fatto, marchi come, Motta, Olio Dante ed altri stanno tornando o sono già tornati in Italia.
Già nel settembre del 2000, era rientrato, acquisito dall’emiliano Gruppo Agroindustriale Ferrarini, il salumificio Vismara, dal 1898 una delle imprese che hanno segnato la storia italiana.
Nel gennaio 2008, Nestlè ha deciso di uscire dal business della pasta secca, della pasta all'uovo e delle fette biscottate Buitoni, affidando la vendita dello stabilimento di Sansepolcro a Mediobanca. L'operazione ha portato alla cessione dello stabilimento al gruppo italo-svizzero Tmt di Angelo Mastrolia, che aveva già rilevato lo stabilimento Buitoni di Eboli. L'accordo prevede la concessione in affitto per dieci anni del marchio Buitoni a Tmt.
Sorte simile è toccata al marchio Motta. Nato a Milano nel 1919 come laboratorio artigianale specializzato, soprattutto, nella produzione del panettone, negli anni 70 lo storico brand Motta fu venduto allo SME, la società finanziaria del settore merceologico agro-alimentare del gruppo IRI. Successivamente, la divisione dei gelati, creata nel 1958, fu inglobata nella Italgel, mentre la divisione dolciaria della Motta insieme ad Alemagna, anche’essa entrata a far parte della SME, andarono a comporre l’Unione industrie dolciarie e alimentari (Unidal), chiamata poi “Gruppo Dolciario Italiano”. A fronte della decisione dello Stato di dare vita ad una serie di privatizzazioni, nel 1993 l’IRI decise di vendere i marchi Italgel e Gruppo Dolciario Italiano alla multinazionale svizzera Nestlè. Nel luglio del 2009, Nestlè e Bauli hanno sottoscritto l'acquisizione definitiva da parte di Bauli S.p.A. del ramo di azienda Nestlè denominato Business Unit Forno attivo nella produzione di dolci lievitati da ricorrenza e prodotti da forno commercializzati con i marchi Motta, Alemagna, Tartufone Motta, Trinidad e Gran Soffice.
Un altro gradito ritorno è stato quello dell’Olio Dante, che da solo detiene il 15 % del mercato nazionale. Acquisito nel 1985 dalla multinazionale anglo-belga Unilever, nel 2008 è stato ceduto alla spagnola Sos e dall’aprile 2009 è diventato al 100% di proprietà italiana.
Tutto ciò è avvenuto per opera del gruppo sannita di Biagio Mataluni, grazie anche al sostegno di tre banche italiane: Unicredit Group, Intesa San Paolo e BNL che stanno accompagnando finanziariamente l’operazione da 30 milioni di euro.
Nota stonata di questo intricato “risiko” di ex marchi italiani rientrati in Italia, è la recente questione Findus. Unilever ha deciso di cedere Findus a Birds Eye, gruppo britannico dei surgelati, per 805 milioni di euro. Le ragioni della cessione sarebbero di carattere strutturale. Questo, come si può facilmente intuire, fa emergere la forte preoccupazione per la sorte dei 650 lavoratori dello stabilimento produttivo di Cisterna di Latina. Secondo quanto si legge nell’ultimo bilancio dell’ Unilever, la divisione dei surgelati, dei frozen food, «è quello che ha risentito di più delle forti pressioni della concorrenza dei prodotti a basso prezzo che è stata contrastata con un grande sforzo promozionale che ha mitigato gli effetti negativi sul mercato». Molto probabilmente, a seguito di un attenta analisi dello scenario di mercato, la multinazionale si è ritrovata con un prodotto il cui ciclo di vita era ormai in declino e con la catena del freddo che presenta costi molto elevati. Così, non ha ritenuto economicamente redditizio fare ulteriori investimenti per rilanciare sul mercato un bene che non ha prospettive di crescita in Italia.
Comunque sia, nel settore agroalimentare si sta assistendo ad una fase di caos: cessioni di marchi, chiusura di stabilimenti, licenziamenti. Certo, il periodo congiunturale è davvero delicato, vista la crisi economica che ha colpito tutti, ma i beni alimentari per antonomasia vengono definiti dalla dottrina economica “anelastici”, la quantità domandata è meno sensibile alle variazioni di prezzo. In pratica, non si può di certo smettere di acquistare generi alimentari. Probabilmente questa fase di recessione ha contribuito a portare avanti i piani di ristrutturazione che erano già da tempo nell’aria e ha spinto i grandi gruppi stranieri a disfarsi di quei marchi che non hanno mercato globale, ma che, al contrario, suscitano l’interesse dei gruppi italiani che adesso possono acquistare ad un prezzo che è un terzo del valore pre-crisi. A questo punto, la prossima sfida da affrontare, sulla base dei corsi e ricorsi storici, è quella di riuscire a contenere un’ eventuale futura fuga dei nostri marchi all’estero. Occorrono interventi strutturali da parte delle istituzioni a favore delle industrie italiane, che consentano loro di essere più incisive e competitive sul mercato internazionale. Politiche tese anche a ridurre il pesante carico fiscale che il sistema industriale è chiamato a dover affrontare.

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